Oggi 17 Novembre è la giornata Internazionale dei nati pretermine, o meglio i Prematuri. Io non sono il tipo che si mette a sbandierare eventi di alcun genere e francamente non ricordo neanche quand’è la festa della mamma o del papà, manco dopo tre anni quasi che lo sono diventato. Questo tanto per dimostrare che si, ci sono centinaia di eventi da ricordare durante un anno solare, ma quello della prematurità, eh si, quello dei prematurità ci tocca, proprio perché io e Simona lo abbiamo vissuto direttamente sui nostri due soldatini, Lucio e Lorenzo.
Quando ti nascono con quasi 2 mesi di anticipo (33 settimane rispetto alle 40 naturali), che pesano già poco, che
scendono di 500/600 gr dopo una settimana, che li vedi intubati per asciugare il liquido rimasto nei polmoni, che la pelle è in eccesso rispetto alle ossicine come se indossassero una tutina di 2 taglie più grande, che anche se non lo vedi sai che gli fanno prelievi costanti da ogni parte del corpo, non pensi proprio che dopo manco un
anno ti guardano, giocano, gattonano, mangiano da soli con il cucchiaino che sembra un mestolo, che ti chiamano Babbo e Mamma, che sono sani belli ed intelligenti.
Non ci pensi!
Non ci puoi pensare!
Pensi che ogni giorno hai 1 ora di visita al giorno spezzate in due.
Che entri ed esci da un reparto asettico, dove ti lavi le mani e la faccia, ti vesti col camice verde e calzi ai piedi ed in testa delle retine igieniche.
Pensi che non vuoi andare li a dirgli che è arrivato Babbo, che Babbo ti vuole bene e bla bla bla…
Pensi che glielo vorresti far sentire prendendoli in braccio annusando il loro profumo o sentire i capelli setosi.
Pensi a quei dati scritti in un albo alla portata dei genitori, dove i medici e gli infermieri annotano i miglioramenti e qualche volta i peggioramenti.
Pensi che magari domani gli tolgono il tubo, o che abbiano preso qualche grammo.
La nascita prematura, per chi non lo sapesse e per chi non l’ha vissuto, è un evento nei parti gemellari molto comune e la stragrande maggioranza delle volte finisce bene, con il bimbo o i bimbi che tornano a casa, per la gioia di tutti.
E quando te li porti a casa, quando finalmente li prendi in braccio con quei vestitini che tanto hai desiderato far indossare perché lo hai sognato da prima che nascessero, quando puoi dire loro, benvenuti a casa vostra, ecco che quello zaino di pensieri, parole, preoccupazioni, lo poggiamo a terra, felici di poterlo custodire in un cassetto della nostra memoria.
Ma poi, passato qualche giorno, che sei più sereno, che l’adrenalina è al top (anche perché senza quella non resisteresti una settimana a casa con loro da soli notte e giorno) che hai 10 secondi per pensare, inevitabilmente pensi a quello che ti è stato negato e che avresti potuto vivere anche tu e tua moglie.
E parlo del periodo romantico della nascita con annessi e connessi. Al medico che ti porta i bambini appena nati. Penso a Simona che avrebbe potuto stringere le sue creature al petto, al cuore, mentre invece dopo un giorno doveva scendere da sola a piedi con i punti per tirare il latte.
Penso alle visite dei nonni o dei parenti ed amici, alle coccole visive e tattili che potevano ricevere invece di trovarsi nelle braccia di estranei che li accudivano per farli stare meglio.
Penso a quante cose i nostri due soldatini non hanno potuto vivere perché, dai buttiamola a ridere, c’hanno avuto prescia di venire al mondo.
Le nostre prime foto sono di me e Simona in piedi di fronte all’entrata della Terapia Intensiva Neonatale. E le prime foto dei nostri soldatini sono dentro le incubatrici con i classici lenzuoli azzurri. Niente fiocchi. Niente fiori.
Ma per fortuna oggi è diverso.
Oggi Lorenzo e Lucio sono più belli e forti che mai.
E tutto questo lo dobbiamo anche a tutte quelle persone che in quelle 3 settimane si sono adoperate per aiutare i nostri due soldatini ad iniziare a vivere nel migliore dei modi.
Ce ne abbiamo di tempo per festeggiare.
Aivoglia se ce ne abbiamo!!!
Se avete avuto un’esperienza simile da condividere vi rimando al link dei post.